Una volta Stephen Hawking diede una festa per viaggiatori nel tempo, a mezzogiorno del 28 giugno 2009. Per assicurarsi che vi partecipassero esclusivamente viaggiatori nel tempo, spedì gli inviti soltanto dopo la festa.

Non si presentò nessuno.

L'universo a portata di mano – Christophe Galfard

Mentalmente lascio il campo. Vado in montagna, affitto una baita, mi preparo un’omelette, mi siedo con i piedi alzati, respiro il profumo di neve della foresta

Mi dico: se vinco questo match mi ritiro. E se perdo questo match mi ritiro lo stesso.

Lo perdo.

Non mi ritiro. Anzi, faccio l’esatto contrario.

Open – Andre Agassi

Da quando avevo lasciato la mia casa per intraprendere questo viaggio, avevo pensato spesso a questa cosa, a come buona parte delle nostre vite sia spesa a studiare e predisporre automatismi. A costruire sistemi, dispositivi, motori. A dar la carica ai meccanismi a molla degli addebiti in conto, a mettere a punto abbonamenti alle riviste, anniversari, foto, rimborsi delle carte di credito, aneddoti. Ad avviare questi motori, metterli in moto e mandarli scoppiettanti nel futuro perché svolgano il loro compito a intervalli più o meno regolari.

Quando qualcuno se ne va o muore o scompare, lascia dietro di sé un’immagine residua; un’impronta negli ingranaggi che ha predisposto intorno a sé. L’immagine si dissolve allo scaricarsi delle molle, al lento esaurirsi del carburante, nel momento in cui le macchine di una vita vissuta secondo certe modalità in certi luoghi e sotto certe angolazioni vengono spente o si grippano o lampeggiano e si fermano, una dopo l’altra. È una cosa che richiede tempo. A volte ci imbattiamo nelle lampade impolverate o nel ronzio elettrico della macchina di qualcun altro, magari dopo così tanto tempo che neppure ce l’aspetteremmo, ma è ancora lì funzionante, continua a girare da sola, nel buio. Continua a svolgere il suo compito anche molto, molto tempo dopo l’uscita di scena di chi le aveva dato vita.

Le memorie dello squalo – Steven Hall

Io sapevo che la terra stava ruotando, e io con essa, e Saint-Martin-des-Champs e tutta Parigi con me, e insieme ruotavamo sotto il Pendolo che in realtà non cambiava mai la direzione del proprio piano, perché lassù, da dove esso pendeva, e lungo l’infinito prolungamento ideale del filo, in alto verso le più lontane galassie, stava, immobile per l’eternità, il Punto Fermo.

Il pendolo di Foucault – Umberto Eco

La situazione non è così grave.

Sono sempre fottuto, intendiamoci.

Ce l’ho sempre nel culo, intendiamoci.

Solo non così in profondità.

L'uomo di Marte – Andy Weir

Vedi, Kamala, se tu getti una pietra nell’acqua, essa si affretta per la via più breve fino al fondo.

E così è di Siddharta, quando ha una meta, un proposito. Siddharta non fa nulla. Siddharta pensa, aspetta, digiuna, ma passa attraverso le cose del mondo come la pietra attraverso l’acqua, senza far nulla, senza agitarsi: viene scagliato, ed egli si lascia cadere. La sua meta lo tira a sé, poiché egli non conserva nulla nell’anima propria, che potrebbe contrastare a questa meta.

Questo è ciò che Siddharta ha imparato dai Samana. Questo è ciò che gli stolti chiamano magia, credendo che sia opera dei demoni. Ognuno può compier opera di magia, ognuno può raggiungere i propri fini, se sa pensare, se sa aspettare, se sa digiunare.

Siddharta – Herman Hesse

Continuò a sorseggiare il suo tè, noncurante del ripetersi di colpi sempre più forti.

Ad un tratto la testa dello stregone fece capolino dalla finestra.

«Se non mi apri, Frodo, scaravento la porta attraverso tutta la caverna fino all’altro lato della collina», disse.

Il Signore degli Anelli – J.R.R. Tolkien

Dapprima la pioggia prese a cadere a passettini, in una lenta cavalcata, poi i gattini furono gettati dalle nubi una cesta dopo l'altra, a mute fitte, a zampettare sulla superficie dell'acqua.

[…]

L'urto delle gocce sulle foglie che si flettevano e il manto del lago, quel brusio ininterrotto, quella fine setacciatura di grani d'acqua in caduta sul mondo, non conoscevo sensazione più profondamente dolce, che non ero in grado di accogliere con una presenza altrettanto totale. Gocce, come di una campana liquida che batte secondo dopo secondo, tutt'intorno e ovunque, sull'acqua torbida, sul suolo e sulla sabbia, sul viso di Steppa e attraverso l'erba matta dei suoi capelli, gocce che s'infiltrano sotto qualsiasi materia frapposta, gocce nelle mie mani aperte come foglie, che scivola lungo la nuca fresca di Calliroe, nei crani scoperchiati dal sogno, gocce nelle orecchie e nella bocca, perché nulla poteva più opporsi, gocce perché le conche d'argilla non erano più abbastanza vaste per accoglierle, nemmeno le lagune lunghe, gocce, né i laghi immersi, gocce, né il pantano… Gocce…

L'orda del vento – Alain Damasio

La Sumeria fu per Babilonia, e Babilonia per l’Assiria, quello che Creta fu per la Grecia, e la Grecia per Roma; la prima creò una civiltà, la seconda la sviluppò al massimo del suo splendore, la terza la ereditò, vi aggiunse poco, la protesse e, morendo, la trasmise come un lascito ai barbari vittoriosi che la circondavano.

Infatti la barbarie sta sempre intorno alla civiltà, in mezzo e al disotto di essa, pronta a inghiottirla con le armi, o con l’emigrazione in massa, o con una sfrenata fecondità.

La barbarie è come la giungla; non ammette mai la propria sconfitta; attende con pazienza, per secoli, di riconquistare il terreno perduto.

Storia della civiltà – Will Durant

Gli operai emettevano suoni certamente genovesi, e Baudolino li abbordò subito nel loro volgare — anche se non in modo così perfetto da celare il fatto che non era dei loro.
«Che cosa fate di bello?» aveva chiesto tanto per incominciare il discorso. E uno di loro, guardandolo male, gli aveva detto che stavano facendo una macchina per grattarsi il belino.

Ora, siccome tutti gli altri si erano messi a ridere ed era chiaro che ridevano di lui, Baudolino (cui già bollivano gli spiriti a dover fare il mercante disarmato su una mula, mentre nel bagaglio teneva, accuratamente avvolta in un rotolo di stoffa, la sua spada da uomo di corte) gli aveva risposto nel dialetto della Frascheta, che dopo tanto tempo gli tornava spontaneo alle labbra, precisando che non aveva bisogno di macchine perché a lui di solito il belino, che le persone per bene chiamano uccello, glielo grattavano quelle bagasce delle loro madri.

Baudolino – Umberto Eco
Translate