Il dono della sintesi

Sto scrivendo un racconto, e il lato ironico della cosa è che non è mai stata mia intenzione farlo.

Tutto è cominciato qualche mese fa quando la costante frequentazione di un caro amico ha fatto riemergere passioni comuni, tra cui i giochi di ruolo, la lettura di libri (non solo) fantasy e, per l'appunto, il piacere di scrivere brevi racconti. Abitudine che avevo personalmente perso da diverso tempo.
Ci siamo scambiati vecchi manoscritti e, la lettura di uno in particolare, ha risvegliato in me il desiderio, quasi l'impulso di crearne una mia personale versione. E, forse inconsciamente, anche di aprire questo blog.

All'epoca, e per 'epoca' intendo quasi venticinque anni fa, utilizzavo una vecchia1Vecchia oggi, all'epoca era un gioiellino nuovo fiammante! macchina da scrivere. Adoravo l'idea di dare una forma fisica alla fantasia, ispirato dal rilassante ticchettio dei martelli sul foglio di carta.
I racconti brevi sono semplici da scrivere, non ti serve un'idea eccezionale, non hai bisogno di caratterizzare i personaggi in modo dettagliato e non c'è la necessità di creare un mondo credibile in cui ambientare le storie. Ti bastano poche pagine per narrare un unico evento, che puoi estremizzare all'inverosimile e il gioco è fatto. Un pomeriggio, un racconto.

Ed è quello che volevo fare. La vicenda si svolge in una torre di guardia2Ogni riferimento a fatti, persone, religioni eccetera è ovviamente casuale. :D, posizionata in cima a una montagna. A nord e a sud della struttura ce ne sono altre identiche, un lungo serpente che si snoda per miglia e miglia3Chissà perché nei romanzi avventurosi usare il sistema metrico stona un po'. attraversando tutto il regno. In ogni edificio c'è una singola vedetta il cui compito principale consiste nell'accendere un fuoco di segnalazione durante la notte e spegnerlo in caso di pericolo.
Ecco, sono arrivato più o meno a questo punto solo che mi sono serviti tre capitoli. Questo perché da lettore pignolo e incontentabile cerco sempre il perché di tutte le cose; mi ritrovo così a voler spiegare per filo e per segno il funzionamento di tutto il contesto. Perché i sistemi di segnalazione (non c'è solo il fuoco) funzionano in quel modo e non in un'altro, che magari a una prima analisi potrebbe apparire più logico? Come c'è finito il protagonista dentro quella torre? Come passa il proprio tempo durante il giorno? Cosa succede se deve essere improvvisamente sostituito perché non più in grado di svolgere i propri compiti? Come mai c'è una sola guardia e non due, cosa che potrebbe garantire una maggiore efficienza? Chi rifornisce le torri di viveri e beni di prima necessità? E così via.

Cado così, ben conscio tra l'altro, in uno dei classici errori dello scrittore: descrivere direttamente le cose invece che farlo fare ai protagonisti durante le proprie azioni. Solo che, in questo caso, non mi è possibile fare altrimenti (o, molto più probabilmente, non sono capace di farlo io). Tutto quello che serve per immergere l'ipotetico lettore nell'ambientazione della storia è già accaduto prima che il protagonista nascesse. Forse dovrei scrivere due racconti, un trattato tecnico sulle torri, la loro storia e le motivazioni che hanno portato l'Impero Tal dei Tali a progettarle, costruirle, deciderne il posizionamento e organizzarne la logistica. E poi, finalmente, la mia brevissima storia, in cui cominciano ad accadere strani eventi negli edifici confinanti e la povera vedetta, completamente isolata dal resto del mondo, si ritrova ad azzardare ipotesi più o meno strampalate ed angoscianti fino all'inevitabile, tragico finale.4Non è ancora detto, eh, però tutti i presupposti sembrerebbero spingere verso quella direzione.

O magari potrei fare il contrario, scrivere una storia apparentemente zoppicante e poi attaccarci in fondo una gigantesca appendice col titolo ‘Tranquilli, ora vi spiego tutto!’. Il problema è che quando penso alle appendici mi viene subito in mente il Signore degli Anelli, e capite pure voi quanto possa essere sconfortante il confronto. :)

Alla fine ho optato per un mix più o meno casuale delle due cose. Parto con una introduzione pseudostorica, introduco il personaggio, torno a descrivere qualcos'altro. Gli faccio accendere il fuoco, spiego a cosa serve il fuoco. Lo accompagno sulla terrazza per osservare l'orizzonte, vede le altre torri, attacco la pippa sulle torri e così via. Non sono nemmeno alla fase di bozza, ho buttato giù tutto di getto e ogni tanto cambio un termine, stravolgo una frase, sposto un concetto più su e cose del genere. Poi rileggo e storco il naso: c'è ancora un 80% di spiegazioni e una misera percentuale di storia. Che poi non è ancora storia, è una debolissima scusa per muovere il tizio nelle diverse zone dell'edificio e descriverle a grandi linee.

Insomma, mi sento un po' demoralizzato, frustrato per non riuscire a trovare una forma più scorrevole e arrabbiato perché ho come l'impressione che tanti anni fa tutto mi riusciva più facilmente. Con tanto che usare una macchina da scrivere meccanica esigeva maggiore attenzione, visto che il copia e incolla non era ancora stato inventato e l'utilizzo del bianchetto5Detto anche correttore universale, quella vernicetta bianca che si applicava col pennellino sopra gli errori ortografici. richiedeva una discreta dose di abilità manuale.

Andrò avanti nella mia impresa perché sono cocciuto, ma comincio a capire come mai i grandi scrittori siano davvero grandi, perché ce ne siano pochi e, soprattutto, perchè non abbiano bisogno di appendici per farcelo capire. :)

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