Chi ben comincia…

… di venerdì 17…

Uno degli errori più comuni che si commettono, quando si apre un nuovo blog, è dare per scontata la presenza di un vasto pubblico di lettori. Sto parlando di noi gente mortale eh, non tirate subito fuori1Non avevo nemmeno finito di dirlo… cose del tipo «eh ma il blog di Flavia Vento (ammesso ne abbia mai avuto uno) aveva già un milione di lettori al primo post!».2Chissà quali perle di saggezza ci sarebbero potute essere per attirare un numero così elevato di estimatori, penso. Ma sto divagando.

Dicevo, il rischio maggiore, specialmente nei primi post, è quello di metterci su un piedistallo virtuale e snocciolare tutti i motivi e gli eventi straordinari (solo per noi) che ci hanno portato a sentire il bisogno di mettere nero su bianco l’intera storia della nostra vita. Sia chiaro, l’ho sempre fatto anch’io, senza capire che a nessuno frega niente. Quindi, a questo giro di giostra, cercherò di farne a meno.

Il che mi pone adesso nella scomoda situazione di dover giustificare il primo articolo del sito.
Me la caverò in modo elegantemente stupido dicendo che siamo esseri umani, ed è quindi nella nostra natura fare cose inutili, pensando che possano in qualche modo avere un peso nell’immenso e caotico ordine dell’universo. È una frase che non vuol dire niente, ma mi toglie temporaneamente dall’impasse. Credo.

L’idea di tornare a occuparmi di un blog mi è venuta questa notte quando, in uno dei miei ricorrenti abusi di Google Search, ho digitato nome e cognome per vedere quanta della mia privacy fosse stata carpita nel corso degli ultimi decenni (decenni, cavolo, sono già 20 anni di Internet qui da noi, sembra ieri!). Fortuna vuole che di omonimi o quasi, molto più famosi del sottoscritto, ce ne siano a bizzeffe: pittori, motociclisti, eroi dell’aviazione nella Grande Guerra e numerosi altri individui più o meno conosciuti proteggono più che degnamente la mia identità, anche visuale. Non è così per altri miei amici, il cui faccione (bello o brutto che sia, generalmente brutto) campeggia allegramente fin dalle prime foto. Ecco, proprio questo mi ha dato lo spunto per tornare a leggere le pagine di un suo vecchio sito, ormai abbandonato da numerosi anni.

Rileggere quei post mi ha ricordato quanto tutti noi fossimo persone migliori. Era un po’ la moda del momento, come lo è oggi Facebook o Twitter, avere un piccolo spazio proprio in cui annotare i pensieri e gli eventi che più ci colpivano. Con la differenza che avevamo (quasi tutti) il buon gusto e la decenza di provare a buttar giù frasi ragionate e non cretinate del tipo «Live dal cesso» o «Toh, sta piovendo!»

Era una forma di social network più di nicchia perché le persone che leggevano le nostre avventure lo facevano volontariamente. Dovevano venirci a trovare, non si trovavano la pappa pronta sul piatto quando aprivano il browser. Si trattava di un impegno reciproco, io mettevo a nudo aspetti di me stesso che dal vivo non sarei mai stato capace di condividere e tu che leggevi imparavi a conoscermi di più e ad aprirti a tua volta.

Sembra che oggi tutto questo si sia estinto. Un blog è impegnativo, bisogna dedicargli tempo, mantenerlo, aggiornarlo, farlo evolvere con noi. Invece, specialmente negli ultimi anni, sento che il bisogno di informazioni si sia orientato più verso il lato tecnologico (scientifico, politico, ecc.) e sempre meno verso quello umano. Le caratteristiche tecniche che potrebbe avere il prossimo iPhone scatenano oggi molto più entusiasmo rispetto al divertente racconto di un amico che è rimasto con l’auto in panne per tutta la notte a causa del fato avverso.

Oggi non c’è più nessuno, e sottolineo nessuno, tra i miei conoscenti che curi regolarmente un blog. D’accordo, qualcuno un sito personale ce l’ha, ma la frequenza dei post non supera i dieci articoli l’anno e anche quelli non è che siano poi scritti con tanta dedizione.

Ecco, io vorrei invertire la tendenza. Durante l’arco del giorno ho tante idee, tante considerazioni che vorrei condividere con altri, ma fino ad oggi non avevo più un posto in cui farlo.
Da oggi ce l’ho. Sarò costante? Lo abbandonerò dopo qualche giorno/mese/anno, appena svanito l’entusiasmo iniziale? Non lo so, però ci provo.

E spero che, almeno per una volta, possa dare anch’io un buon esempio, perché questa bella tradizione non vada perduta.

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