Ci sono diversi modi d'amare, carissima Lasher.
Noi non lo abbiamo incontrato al supermercato. Non è il nostro collega di lavoro. Non è il vicino di sopra che porta a spasso il cane la domenica mattina.
Noi ce lo siamo cercato, lo abbiamo voluto proprio così com'è.
Non è stato un caso: niente destino. Niente incontro fortuito dal fotografo, niente drink offerto per noia al disco pub venerdì sera, niente scambi di battute per riempire il silenzio nella sala d'aspetto del dentista. È diverso.
Il nostro è un averlo scelto con cura, sezionato in pezzi per arrivare all'osso, conosciuto fin nelle sue orribili viscere, scomposto nelle diverse forme di esistere come un prisma fa con la luce del sole, senza che lui neanche se ne accorga.
Quindi – non contente – ce lo siamo sniffato, iniettato, assunto, inghiottito, affogato nei succhi gastrici e poi vomitato, per saturazione e disgusto. Per non esserne ancora sazie, e ritrovarsi lì a leccare il pavimento, pur di averne ancora.
È amore questo? o piuttosto un volersi fare del male? io lo sapevo prima ancora di cominciare che ci avrei lasciato le penne questa volta. Ma non è bastato a farmi desistere. E tu? Dimmi la verità, anche tu lo sapevi.
Per me ormai è quasi un quieto convivere con la mia pena, se anch'essa m'abbandonasse mi sentirei ancora più sola. Credo sia un meccanismo di autosantificazione, ci si innamora del proprio dolore e ci si sente nobili perché si soffre.
Specchiandomi nelle tue parole, Lasher, per un attimo m'illudo di trovare la forza di liberarmi. Invece dovrò cambiare casa, perché ogni volta che rientro m'aspetto di trovarlo lì, seduto sulle scale.