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La Isla Grande

cuba

Atterriamo verso le 3 del pomeriggio.

Atteriamo stanchi ma contenti, impazienti di vedere con i nostri occhi se è vero quello che si dice in giro. Che qui i Cubani se la passano male. Che manca la luce anche 20 ore al giorno, che le macchine sono ancora quelle degli anni ’50 e che il Regime non lo vedi ma lo senti nell’aria.
Ci hanno detto che a Cuba ci si deve andare almeno una volta nella vita, che devi viverla fino in fondo per capirla. Per conoscere la gente.
Ci hanno detto che Cuba la tua vacanza la devi fare da Cubano e non da turista, non importa anche se solo per 2 settimane.
Ci hanno detto che sarà indimenticabile e che sull’isola ci torneremo in un modo o nell’altro.

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Tutte le religioni del Natale africano

Quando parlo delle feste di Natale passate in Senegal – più del 90 per cento della popolazione è di religione musulmana e i cristiani sono meno del 10 per cento – i miei interlocutori italiani mi chiedono stupiti: «Anche voi lo festeggiate? Stai scherzando!».

Anni fa quando auguravo agli amici italiani «Buon Natale», la loro risposta non era: «Grazie e auguri anche a te!», ma: «Cosa c’entri tu con il Natale?». Nelle grandi città dell’Africa nera, cristiani, musulmani e animisti lo festeggiano insieme. Innanzitutto perché è facile trovare nella stessa famiglia persone di religione diverse (il cardinale di Dakar, monsignor Thiandoum, ha cugini musulmani; metà della famiglia dell’ex presidente-poeta Senghor, lui cattolico, era musulmana; la moglie dell’attuale capo dello Stato è cattolica e lui musulmano…), poi perché ci sono tradizioni religiose trasversali, visto che ebraismo, cristianesimo e islamismo – le tre religioni monoteistiche – hanno radici comuni.

Inoltre festeggiare l’avvento di Gesù è un’abitudine cementata anche dalla lunga permanenza del colonizzatore europeo. Di più: Gesù Cristo è venerato dai musulmani. Non lo definiscono figlio di Dio, ma – letteralmente – ‘il soffio di Dio‘ e lo considerano tra i cinque profeti più importanti del Corano. Nell’Africa nera (e anche nell’Africa bianca, Marocco, Tunisia…) tanti musulmani si chiamano con le molte varianti del nome Gesù: Insa, Issa, Yussufa o Yussuf (il famoso cantante senegalese Youssouf N’Dour). E tra i nomi femminili molto diffusi c’è Maria… Si potrebbe andare avanti a citare altri profeti che accomunano queste tre religioni, che troppe teste bacate vorebbero mortali nemiche.

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Io, l’IKEA e la morte

Insomma andiamo all’IKEA a prendere l’ultimo Billy marrone per la nostra sala, il bello dell’IKEA è che non vendono veramente librerie, ma vendono cose, e quindi tu invece che comperarti un salotto puoi prenderlo un pezzo ogni tanto, alla fine un salotto IKEA è una raccolta di cose messe le une accanto alle altre, e noi in un anno abbiamo comperato cinque librerie Billy marroni e ora ci manca l’ultima, c’è proprio il buco nella parete si vede che manca qualche cosa, e allora andiamo all’IKEA a comperare anche l’ultima libreria Billy marrone e quando siamo nella parte finale del budello IKEA andiamo dove di solito ci sono le librerie billy marroni e vediamo che lo scaffale è vuoto.
«Si vede che vanno a ruba» dice Cecilia perplessa.
«Sono le migliori» dico io a bassa voce e mi gratto il mento, e mestamente mi dirigo alle informazioni dove c’è un ragazzo che sembra un altro me stesso, solo che lui ha la maglietta gialla con la scritta blu IKEA.
«Salve – dico – mi serviva una libreria Billy marrone»
Il ragazzo mi fissa, come se non mi vedesse e poi mi dice che non esistono le librerie IKEA marroni.
«Uh. Ne ho cinque in salotto»
«Più» aggiunge il tipo passandosi una mano sulla faccia.
«Più» ripeto io senza capire.
«Non esistono più le librerie Billy marroni» l’IKEA non le fa più, adesso fa il color faggio.
«Cioé? Faggio cioé?» dice Cecilia che nel frattempo mi si è messa a fianco e inizia la sua burrascosa esplosione adrenalinica, non dovrei mai andare con Cecilia in un negozio, e il tipo ripete che l’IKEA non fa più le librerie Billy marroni, adesso c’è il nuovo color faggio.
Cecilia sorride e dice voi non potete. «Voi non potete» ripete e sorride serafica guardandosi le scarpe, e poi – di colpo – alza un braccio e lo abbatte sul tavolo e inizia ad alzare la voce e dice che lei ha scelto IKEA proprio come ha scelto COCA-COLA, cioé, cose che sono uguali in tutto il mondo e fra dieci anni la Coca Cola avrà lo stesso gusto di Coca Cola di dieci anni fa, e l’IKEA fra dieci anni farà ancora la Billy marrone nel caso cambiassimo casa e volessimo comperare la seicesima libreria Billy marrone, che fa parte dell’alleanza non scritta tra IKEA e consumatore, che non si butta così alle ortiche un rapporto fondato sulla serialità, e alla parola serialità Cecilia si passa una mano (quella non sbattuta sul tavolo) all’angolo della bocca per nettare via la saliva, e resta immobile a fissare il commesso con occhi fiammeggianti.
Il commesso ha intanto attuato la tecnica, certo io la penso esattamente come voi, e dice che abbiamo perfettamente ragione e che l’IKEA sono una manica di stronzi, e questa parte gli riesce facile.
Comunque – aggiunge – possiamo prendere il nuovo color faggio che è davvero molto bello, ma questa uscita sfortunata del commesso spacca il vaso di Pandora gelosamente custodito in Cecilia, e che rivela essere pieno di oscenità irripetibili che cosa cazzo me ne faccio di un Billy faggio che vuol dire molto chiaro in mezzo a cinque librerie Billy marroni che vuol dire molto scuro, e mentre Cecilia spiega questa cosa, fa anche dei mimi con le mani a significare il molto chiaro e molto scuro, e il numero cinque e il numero uno che si infila in mezzo al numero cinque, e il senso del mimo è che il commesso è un idiota e il commesso abbassa il capo e si prende dell’idiota, è retribuito.
«Senta – dico io – non c’è proprio modo di avere ancora dei Billy marroni, a noi ne serve solo uno», e viene fuori che sì, possiamo ordinare – pagando in anticipo – uno dei Billy marroni ancora rimasti in magazzino nel mondo e loro lo faranno arrivare qua e noi ce lo andremo a prendere.
E ce lo siamo presi, ci hanno dato un foglietto, quando arriva vi telefoniamo e voi andate nel magazzino che sta da un altra parte
rispetto all’IKEA e ve lo andate a prendere.

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Chi mi partiziona l’anima

Prologo

Io mi chiamo Fabrizio, ho una compagna che si chiama Cecilia, un cane che si chiama Tobbia e un figlio, quadrimestrale, che si chiama Niccolò. Siamo abbastanza felici, benchè con cupi drammi economico/quotidiani, ma questo per capire le partizioni.
L’hard disk del mio iMac era partizionato in tre parti: Tobbia (dove c’è la cartella sistema e tutto il software), Fabrizio (dove ci sono le mie cose) e Cecilia (dove ci tiene le cose sue). Ora: qualche mese addietro ebbi la non fortunata idea di installare Linux sul mio computer, per vedere un po’ come era. Utilizzai il programma datomi in dotazione da Applicando e cancellai la partizione Cecilia (che era di duegigaettrè), e ne feci due nuove, una chiamata sempre Cecilia di ungigaettrè e una sotto Linux di un giga e basta.
Installai tutto bene nessun problema. Guardai Linux, dissi «oh oh» richiusi non lo usai mai più.

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Davanti a un piatto di gamberi mancini

I gamberi mi piacciono molto perché sono uguali me.
Camminano all’indietro e sembra che non facciano mai un passo avanti. I gamberi sono come me, camminano all’indietro. Però per loro andare indietro è come andare avanti, e andare avanti è andare dove non si è mai stati.

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All’ombra delle antenne cosmiche in fiore

Milano, interno sera

Un capellone e la sua fidanzata, detta ‘la bambina dalla testa rotonda‘, hanno appena finito di cenare e stanno chiacchierando tranquillamente seduti a tavola.
La stanza, più che una cucina, sembra il magazzino di un negozio che vende computer assemblati: su un tavolo tre monitor e due computer, altri quattro o cinque computer funzionanti sparsi sotto il tavolo e un numero imprecisato di computer spenti e aperti, più o meno completi, giacciono in giro per il pavimento.
Negli spazi pezzi di componenti e attrezzi: una scheda video, un banco di RAM, cacciaviti.
Quello che avanza è raccolto in casse di plastica distribuite in modo rigorosamente non predeterminato.

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Se Hitler se la fosse presa con le zanzare forse sarei di destra

Stanotte non ho dormito per il prurito delle punture di zanzare, ho avuto un sacco di tempo per pensare a loro.
E non erano pensieri amorevoli.
Sono arrivata alla conclusione che il comportamento e il carattere delle zanzare sia caratterizzato geograficamente, esattamente come quello delle persone.

Le zanzare pugliesi, per esempio, appaiono tardi, verso le 23:00/23:30, ronzano facendo un rumore infernale e scassando ampiamente la minchia, insomma, una gran scena, ma poi, quando pungono, dopo mezz’ora è passato tutto; inoltre il segno della puntura è piccolino e visibile subito, per cui sai dove non grattarti per non peggiorare la situazione.
Buffone.

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Gli uomini di Camilla

Ai miei uomini ho dato di essere pochi, dovrei rifare i conti ma comunque pochi. Chissà che siano rimasti contenti almeno di questo.
Gli ho dato anche di essere come gli pareva, così alcuni si sono scelti sinceri altri bugiardi, e a me andava bene lo stesso perché erano i miei uomini e alle cose mie tengo più che a me stessa.
Anche per gli optionals sono sempre stata di manica larga: gli ho lasciato la più ampia libertà circa il colore degli occhi e la quantità di capelli, e non ho posto limitazioni di età o di censo, figuriamoci poi di razza o cultura o fede in quel che sia.

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Su Saturno non c’è tempo da perdere

«Quello è Orione, lo vedi? Ci sono due stelle in alto che sono le spalle, poi tre piccoline al centro, la cintura, e ancora due in basso.»

Ilaria annuisce rabbrividendo e stringendosi addosso il plaid.
A vederla così intenta a scrutare il cielo con il nasino all’insù e l’aria attenta verrebbe da distendere a forza di baci le rughe che le sono venute per la concentrazione sulla fronte.
Sono mesi che le muoio dietro, che pendo dal suo broncio sexy e cado in deliquio di fronte alla danza del suo culo quando mi cammina davanti, mesi che non riesco a dirle niente di meglio di un ciao o di un come va.
Ancora non ci posso credere che siamo qui, da soli, su questa collina a guardare le stelle, cazzo, sembra uno di quei film per ragazzine sceme, però è bello, è bello sentire l’aria frizzante di gennaio che ti fa pizzicare la pelle della faccia e la mano di Ilaria a due centimetri dalla mia e l’odore di mare dei suoi capelli, è davvero una figata.

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Matite e temperamatite

CAPITOLO 6 – Oggetti di uso quotidiano

4.1 Matite e temperamatite

Possiamo definire la matita come uno ‘strumento per scrittura e disegno, costituito da un sottile cilindro di un impasto di grafite o di altre materie coloranti (mina), racchiuso in una guaina di legno dolce o in un astuccio metallico o di plastica a funzionamento semiautomatico’

Devoto-Oli, Bergamo 1987

Ma come si chiama la parte di matita che viene gettata quando la matita viene temperata?
Non esiste un termine scientifico preciso e, per capirne il motivo, dobbiamo ripercorrere brevemente alcuni importanti momenti di storia recente.
Nel 1973, quando la O.N.D.A. (Organo Nazionale Denominazioni e Attributi) rilevò l’obsoleto termine ‘lapis’ a favore dell’ormai corrente ‘matita’, venne emanata una circolare in cui si invitava a sostituire nei composti i due termini: così ‘temperalapis’ divenne ‘temperamatite’. Tuttavia anche allora non si ritenne opportuno specificare la denominazione degli scarti della matita temperata.
Nel 1982 Manuele Corsi, linguista e glottologo, propose i nomi ‘temperatura’ o ‘tempera’ della matita, che non vennero adottati a causa della possibile ambiguità che potevano originare.

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I nuovi Godzilla

Questo è il commento di una anonima lettrice al direttore per la recente uscita di un mensile dedicato agli uomini (quella della pubblicità in TV in cui una tipa esclama «prendo la tua macchina» e l’attempato playboy le toglie le chiavi dalle mani e le dice «ricordati di stirarmi la camicia»).

Lo confesso. Ho ceduto alla tentazione di comprare la nuova rivista maschile ‘For Men Magazine’. Del resto, come potevo resistere agli affascinanti argomenti annunciati dalla copertina (che, tra parentesi, ritrae un tizio con una faccia da pirla e un asciugamano di spugna bianca che fa tanto figo da spogliatoio)?

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La Titti

Chi ha letto il precedente aneddoto sui condizionali sa che, dopo aver lasciato Tucano, Sandokan e Jonathan alla loro sorte, conobbi la Titti. La Titti era un po’ particolare, di quelle tipe un po’ new age ma che amano le belle macchine, una di quelle un po’ piccanti ma sempre discrete, di quelle che non disdegnano lo sport ma adorano mangiare, di quelle che adorano mangiare quello che cucini ma non vestire quello che regali loro, di quelle sempre un po’ indecise ma intraprendenti, di quelle un po’ donne e un po’ bambine, di quelle un po’ mamme e un po’ nonne, di quelle un po’ così e un po’ colà.
La Titti era una testa di cazzo.

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Afono

Vorrei costruire una cornice.
Serve per sostenere i pezzi del mio cuore.
Ogni frammento è un ricordo. Ogni ricordo è un’immagine.
Ed in ogni immagine ci sei tu che sorridi. Che mi sorridi. O mi deridi?
Se ci fosse uno specchio riuscirei a vedere anche me in questi ricordi.
E mi vedrei mentre faccio lo scemo solo per te. Ma se tu ridi io sono felice.
Basta poco per farmi contento, vedi?
Invece sei tu che sei difficile.
Mi chiami se sei triste e capisco che vuoi solo che io per te faccia il clown.
E per te lo faccio volentieri, lo sai.
Ma al telefono non è facile, non so se mi comprendi. A me non bastano mai le parole.
Così gesticolo e faccio le facce buffe anche se tu non mi vedi.
Ma tu non mi vedi. E la magia non funziona.

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Only hopes

Domani sarà un altro giorno. Un giorno diverso, sicuramente.
Stanotte, è ormai inevitabile, si scriverà col sangue (e quando mai è stato diverso?) una nuova pagina di storia. Schierarsi da una parte o dall’altra non è sempre giusto, e in questo caso più che mai.

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Sui condizionali

Ho sempre pensato di non essere un grande lettore o un grande scrittore. Mi sbagliavo, sono un grande scrittore. O quantomeno potrei esserlo.
Questo mi fa venire in mente quando mia moglie mi ha lasciato.
Le dissi: «Sarei potuto essere qualcuno!»
Lei: «Chiunque POTREBBE essere qualcuno…» e se ne andò.
Almeno, PENSAVO che se ne fosse andata, da fuori della porta non riuscivo a capire se era tornata in salotto o mi stava controllando dallo spioncino.
Quello l’aveva preso da sua madre, la signora Grazia: un giorno la signora Grazia andò alla porta e vi scoprì un piccolo foro: sua figlia le aveva rubato lo spioncino.

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I figli di Stavros

Stavros stava per morire. Magari non in giornata, forse addirittura fra qualche mese, ma ormai ne era certo, dato che non aveva più voglia di vivere. Il suo fisico era vecchio, vecchio e sano, anche se pieno di crepe, e sarebbe resistito ancora per un po’, finchè il cuore non si fosse deciso a capire che ormai batteva a vuoto. Quella notte Stavros non aveva dormito, perchè l’idea di aver deciso di morire lo aveva impegnato ad una pungente preoccupazione. Era rimasto sveglio a riflettere sulla necessità di avvisare i suoi figli e di dire loro le ultime verità. La stanza era fresca, e la finestra un buco nella calce bianca senza tenda nè imposte, perchè a Maria era sempre piaciuto lasciar entrare l’aria delle stelle notturne quando dormiva. Ora era morta da tanto tempo e lui trascorreva gran parte delle sue notti lasciandosi attraversare da quello stesso alito di cielo buio mentre aspettava inerme la tregua di un sonno.

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Ouzo

Fra le palme le luci, e dietro ancora la musica. Sirtaki.
Abbiamo affittato questa casa bianca per scrivere. Non è stato difficile trovarla, tutti quelli che hanno bisogno di scrivere prima o poi vengono qui, e ne trovano una.
Servono poche cose: soprattutto il bianco, appunto, con macchie celesti di persiane, e aria che passi le finestre dal mare verde ai valloni delle capre.
Le capre ci danno il formaggio, gli olivi altro cibo. Per il pane c’è un cesto dal fornaio in paese. Per star su di notte, candele dappertutto.

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Insalata di pomodori, rucola e barbabietole rosse

Ci sono diversi modi d’amare, carissima Lasher.
Noi non lo abbiamo incontrato al supermercato. Non è il nostro collega di lavoro. Non è il vicino di sopra che porta a spasso il cane la domenica mattina.

apro il barattolo e il liquido agrodolce delle barbabietole rosse scivola giù nel lavandino

Noi ce lo siamo cercato, lo abbiamo voluto proprio così com’è.
Non è stato un caso: niente destino. Niente incontro fortuito dal fotografo, niente drink offerto per noia al disco pub venerdì sera, niente scambi di battute per riempire il silenzio nella sala d’aspetto del dentista. È diverso.

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Solo un sogno

Ci sono giorni, come questo, che fuori piove e piove da tre giorni ininterrottamente, e tutto quello che vorresti è stare sotto un piumone ad ascoltare la pioggia che accarezza i vetri, mentre di sottofondo c’è una canzone dolcemente malinconica.

Magari facciamo anche che sotto quel piumone ci sei già stata e che ad un certo punto, invece che la pioggia ti ha svegliato il sole che filtra tra le persiane e ti scalda una guancia.
Poi, siccome sognare non costa nulla, facciamo le cose in grande e immaginiamo che fuori da quel piumone, se ti immergi nel sole che invade la stanza, scopri che ti aspetta una colazione di quelle da film: spremuta, latte, caffè, brioche, marmellata, pane tostato.

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Funamboli

Gli annunci li hanno scritti coi gessetti colorati sui pali della luce. La gente del paese li va a leggere incuriosita.

«Cerchiamo funamboli»

I ragazzini pensano subito al circo, corrono in piazza, ma non c’è. Chiedono al prete che passa svolazzando, e non ne sa niente.
«Qui in paese non c’è posto, sarà fuori.» e corre via a benedire le case, ché è primavera.
Prendono le biciclette fuori di scuola e si sparpagliano per i campi, ma si fermano a far merenda con pane e zucchero, e tra le gambe aperte si scambiano figurine sull’erba.

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