Oggi ho rimesso mano al mio scaffale dedicato ai Chogokin di Bandai per aggiungere un nuovo inquilino.
Hmmm… cosa ci fa un cubo di Rubik insieme ai miei robottoni?
Adesso ci arriviamo…
Sarebbe carino esordire con "un'altra delle mie passioni…", e invece no. Cioè sì, un pochino… ma non troppo.
Allora, il cubo di Rubik è uno dei giochi della mia infanzia. Chi è cresciuto negli anni '70 ne avrà sicuramente avuto uno in casa. È uscito nel 1974 a opera del genio ungherese – professore di architettura e scultore – Ernő Rubik (no, non è il tizio qui sotto).
Non si trattava di un'idea inedita: già nel 1970 Larry D. Nichols aveva inventato un cubo 2x2x2 con un simile funzionamento (che esiste ancora oggi e, contrariamente alle apparenze, non è una variante del 3x3x3), ma gli otto cubetti si tenevano insieme tramite magneti. Rubik voleva invece trovare un sistema per poterli ruotare senza scollegarli tra loro. Il primo prototipo era in legno, senza colori. Si rese conto di aver realizzato un rompicapo soltanto la prima volta che, provando a mescolarlo, non fu più in grado di ricomporlo. Se non un mese più tardi, dopo numerosi tentativi.
Da allora il cubone colorato si è velocemente diffuso in tutto il mondo; tanto che oggi, a cinquant'anni dalla sua nascita, è tuttora popolarissimo (e 50 è un numero che si presenterà nuovamente durante la lettura di questo articolo).
Come la maggior parte dei possessori, non sono mai stato capace di risolverlo, se non tramite metodi poco ortodossi: i miei amici staccavano e riapplicavano gli adesivi; a me sembrava un sistema stupido perché poi non si attaccavano più bene. E così lo smontavo, riallineavo i cubetti e lo riassemblavo. Col tempo sono migliorato, ho imparato a risolvere una faccia senza barare.
È passata un sacco di acqua (e anche corpi di nemici) sotto i ponti quando, poco meno di dieci anni fa, mi sono detto "io devo imparare a risolverlo!". E così ho fatto. Per capirci: non è necessario essere intelligenti, è tutta questione di memoria; esistono svariati algoritmi, alcuni semplici (ma lunghi), altri terribilmente complessi (ma veloci) e ognuno può scegliere quello che preferisce. Quello che uso io è relativamente facile da ricordare, ma occorrono circa due minuti / due minuti e mezzo per allineare le sei facce. I campioni del mondo ci mettono pochi secondi: c'è un algoritmo per qualsiasi combinazione di colori, basta ricordarselo.
Così ho com… EHI, ASPETTA… MA COS…???
Cosa sta succedendo? Si sta rompendo? Accidenti, ne ho comprato uno difettoso?
Oh cavolo… sta cominciando a sgretolarsi davanti ai miei occhi!!
Ecco, lo sapevo… mi toccherà chiamare l'assistenza…
No aspetta… sta cominciando a – qual è il termine tecnico? – a… scalciare…?
Si sta letteralmente alzando in piedi! Sto cominciando seriamente a preoccuparmi…
UN ROBOT!! Decisamente un robot anni '70, direi… Con quel vibe che è una via di mezzo tra Battlestar Galattica e i Daft Punk. E questo spiega l'altro "50" del titolo. Curiosamente nel 2024 si è festeggiato anche il 50° anniversario dei Chogokin, ovvero dei robottoni in metallo di Bandai. E infatti è proprio Bandai che, in collaborazione con Rubik, ha sfornato questo fantastico crossover.
È un bel robot? No, per niente. È così brutto da risultare quasi un insulto a qualsiasi robot mai costruito. Ma è un brutto meraviglioso. È esattamente il look che avevano i robot transformer di quegli anni. Non so se ti ricordi l'orologio robot; o l'accendino robot; o il telefono robot; o il pelapatate robot; o qualunque altro improbabile oggetto d'uso quotidiano che si trasformava in un robot: un accrocchio informe, con gambe, braccia e testa che spuntavano a casaccio; alla fine lo tenevi sempre nella forma originale per non farti sanguinare gli occhi.
Farò anch'io la stessa cosa, molto probabilmente. Lo avrei comprato anche se non fosse stato trasformabile. Anzi, avrei quasi preferito fosse un semplice cubo di Rubik, perché è uno dei miei fidget preferiti, da spippolare alla sera mentre sto guardando un film o una serie TV.
Il feeling in mano è indescrivibile: ad eccezione dei quadratini colorati – e contrariamente a qualsiasi altro cubo di Rubik – questo è interamente in Chogokin (che, nella finzione fantascientifica, è il nome del metallo con cui sono stati costruiti Mazinga e compagnia bella). Per capirci, è un cosino di circa 5x5x5 centimetri e pesa ben mezzo chilo!!
Lo terrò quindi in vetrina in modalità cubo, che tu mi dirai "ma allora sei scemo, ne mettevi uno degli altri tre, magari quello ufficiale, e non sarebbe cambiato niente!". Vero. Però vuoi mettere il "sapere che"? Pensa che non l'ho detto nemmeno a Mian, così non dovrrrddfg gfwrew lksdf ncxk;;:..
MIAN LO SAPEVA!!
Un dettaglio molto carino è che anche la basetta si trasforma, in modo da poter ospitare il cubo nella modalità robot. C'è un'altra caratteristica nascosta: premendo un bottoncino all'interno della "T" si può azionare un meccanismo che spara il quadratino centrale come se fosse un missile. E lo fa anche con una certa potenza.
No, dai… certo che lo esporrò anche come robot, e molto orgogliosamente, tra l'altro! È un design figlio degli anni '70-'80, e non si può non amare tutto ciò che quella magica epoca ci ha regalato. :)
"Ok, ma se il doppio cinquantesimo era nel 2024, perché stai postando questa recensione soltanto nel 2025?". Beh, perché in Giappone è uscito a fine anno (magari si sono accorti degli anniversari all'ultimo momento) e da noi è arrivato soltanto adesso.
Ha un nome ufficiale? Sì, Rubik's Cube Robo (senza la "t" finale), ma è piuttosto banale.
Lo chiamerò Rubicon (senza la "e" finale). :)
Una veloce nota sugli altri tre cubi: uno è originale, lo si capisce dal loghetto e dal fatto che gli adesivi, col tempo, stanno cominciando a staccarsi ai bordi. Gli altri due sembrano cinesate; ed effettivamente sono proprio cinesate, pagate circa 4 euro l'una su qualche sito orientale. Però sono cinesate fantastiche perché le sezioni scorrono così bene da risultare molto più funzionali di quelle del cubo ufficiale (che, infatti, non spippolo mai). Qualche anno fa le ho anche modificate, inserendo delle micro calamite in modo che adesso, oltre a scorrere bene, i tasselli si allineano perfettamente, restituendo un feedback tattile decisamente gratificante.