Insomma andiamo all’IKEA a prendere l’ultimo Billy marrone per la nostra sala, il bello dell’IKEA è che non vendono veramente librerie, ma vendono cose, e quindi tu invece che comperarti un salotto puoi prenderlo un pezzo ogni tanto, alla fine un salotto IKEA è una raccolta di cose messe le une accanto alle altre, e noi in un anno abbiamo comperato cinque librerie Billy marroni e ora ci manca l’ultima, c’è proprio il buco nella parete si vede che manca qualche cosa, e allora andiamo all’IKEA a comperare anche l’ultima libreria Billy marrone e quando siamo nella parte finale del budello IKEA andiamo dove di solito ci sono le librerie billy marroni e vediamo che lo scaffale è vuoto.
«Si vede che vanno a ruba» dice Cecilia perplessa.
«Sono le migliori» dico io a bassa voce e mi gratto il mento, e mestamente mi dirigo alle informazioni dove c’è un ragazzo che sembra un altro me stesso, solo che lui ha la maglietta gialla con la scritta blu IKEA.
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Io, l’IKEA e la morte
Chi mi partiziona l’anima
Prologo
Io mi chiamo Fabrizio, ho una compagna che si chiama Cecilia, un cane che si chiama Tobbia e un figlio, quadrimestrale, che si chiama Niccolò. Siamo abbastanza felici, benchè con cupi drammi economico/quotidiani, ma questo per capire le partizioni.
L’hard disk del mio iMac era partizionato in tre parti: Tobbia (dove c’è la cartella sistema e tutto il software), Fabrizio (dove ci sono le mie cose) e Cecilia (dove ci tiene le cose sue). Ora: qualche mese addietro ebbi la non fortunata idea di installare Linux sul mio computer, per vedere un po’ come era. Utilizzai il programma datomi in dotazione da Applicando e cancellai la partizione Cecilia (che era di duegigaettrè), e ne feci due nuove, una chiamata sempre Cecilia di ungigaettrè e una sotto Linux di un giga e basta.
Installai tutto bene nessun problema. Guardai Linux, dissi «oh oh» richiusi non lo usai mai più.
Davanti a un piatto di gamberi mancini

I gamberi mi piacciono molto perché sono uguali me.
Camminano all’indietro e sembra che non facciano mai un passo avanti. I gamberi sono come me, camminano all’indietro. Però per loro andare indietro è come andare avanti, e andare avanti è andare dove non si è mai stati.
All’ombra delle antenne cosmiche in fiore
Milano, interno sera
Un capellone e la sua fidanzata, detta ‘la bambina dalla testa rotonda‘, hanno appena finito di cenare e stanno chiacchierando tranquillamente seduti a tavola.
La stanza, più che una cucina, sembra il magazzino di un negozio che vende computer assemblati: su un tavolo tre monitor e due computer, altri quattro o cinque computer funzionanti sparsi sotto il tavolo e un numero imprecisato di computer spenti e aperti, più o meno completi, giacciono in giro per il pavimento.
Negli spazi pezzi di componenti e attrezzi: una scheda video, un banco di RAM, cacciaviti.
Quello che avanza è raccolto in casse di plastica distribuite in modo rigorosamente non predeterminato.
Se Hitler se la fosse presa con le zanzare forse sarei di destra
Stanotte non ho dormito per il prurito delle punture di zanzare, ho avuto un sacco di tempo per pensare a loro.
E non erano pensieri amorevoli.
Sono arrivata alla conclusione che il comportamento e il carattere delle zanzare sia caratterizzato geograficamente, esattamente come quello delle persone.
Le zanzare pugliesi, per esempio, appaiono tardi, verso le 23:00/23:30, ronzano facendo un rumore infernale e scassando ampiamente la minchia, insomma, una gran scena, ma poi, quando pungono, dopo mezz’ora è passato tutto; inoltre il segno della puntura è piccolino e visibile subito, per cui sai dove non grattarti per non peggiorare la situazione.
Buffone.
Gli uomini di Camilla
Ai miei uomini ho dato di essere pochi, dovrei rifare i conti ma comunque pochi. Chissà che siano rimasti contenti almeno di questo.
Gli ho dato anche di essere come gli pareva, così alcuni si sono scelti sinceri altri bugiardi, e a me andava bene lo stesso perché erano i miei uomini e alle cose mie tengo più che a me stessa.
Anche per gli optionals sono sempre stata di manica larga: gli ho lasciato la più ampia libertà circa il colore degli occhi e la quantità di capelli, e non ho posto limitazioni di età o di censo, figuriamoci poi di razza o cultura o fede in quel che sia.
Su Saturno non c’è tempo da perdere
«Quello è Orione, lo vedi? Ci sono due stelle in alto che sono le spalle, poi tre piccoline al centro, la cintura, e ancora due in basso.»
Ilaria annuisce rabbrividendo e stringendosi addosso il plaid.
A vederla così intenta a scrutare il cielo con il nasino all’insù e l’aria attenta verrebbe da distendere a forza di baci le rughe che le sono venute per la concentrazione sulla fronte.
Sono mesi che le muoio dietro, che pendo dal suo broncio sexy e cado in deliquio di fronte alla danza del suo culo quando mi cammina davanti, mesi che non riesco a dirle niente di meglio di un ciao o di un come va.
Ancora non ci posso credere che siamo qui, da soli, su questa collina a guardare le stelle, cazzo, sembra uno di quei film per ragazzine sceme, però è bello, è bello sentire l’aria frizzante di gennaio che ti fa pizzicare la pelle della faccia e la mano di Ilaria a due centimetri dalla mia e l’odore di mare dei suoi capelli, è davvero una figata.
Matite e temperamatite

CAPITOLO 6 – Oggetti di uso quotidiano
4.1 Matite e temperamatite
Possiamo definire la matita come uno ‘strumento per scrittura e disegno, costituito da un sottile cilindro di un impasto di grafite o di altre materie coloranti (mina), racchiuso in una guaina di legno dolce o in un astuccio metallico o di plastica a funzionamento semiautomatico’
Devoto-Oli, Bergamo 1987
Ma come si chiama la parte di matita che viene gettata quando la matita viene temperata?
Non esiste un termine scientifico preciso e, per capirne il motivo, dobbiamo ripercorrere brevemente alcuni importanti momenti di storia recente.
Nel 1973, quando la O.N.D.A. (Organo Nazionale Denominazioni e Attributi) rilevò l’obsoleto termine ‘lapis’ a favore dell’ormai corrente ‘matita’, venne emanata una circolare in cui si invitava a sostituire nei composti i due termini: così ‘temperalapis’ divenne ‘temperamatite’. Tuttavia anche allora non si ritenne opportuno specificare la denominazione degli scarti della matita temperata.
Nel 1982 Manuele Corsi, linguista e glottologo, propose i nomi ‘temperatura’ o ‘tempera’ della matita, che non vennero adottati a causa della possibile ambiguità che potevano originare.
I nuovi Godzilla
Questo è il commento di una anonima lettrice al direttore per la recente uscita di un mensile dedicato agli uomini (quella della pubblicità in TV in cui una tipa esclama «prendo la tua macchina» e l’attempato playboy le toglie le chiavi dalle mani e le dice «ricordati di stirarmi la camicia»).
Lo confesso. Ho ceduto alla tentazione di comprare la nuova rivista maschile ‘For Men Magazine’. Del resto, come potevo resistere agli affascinanti argomenti annunciati dalla copertina (che, tra parentesi, ritrae un tizio con una faccia da pirla e un asciugamano di spugna bianca che fa tanto figo da spogliatoio)?
Continua a leggereLa Titti
Chi ha letto il precedente aneddoto sui condizionali sa che, dopo aver lasciato Tucano, Sandokan e Jonathan alla loro sorte, conobbi la Titti. La Titti era un po’ particolare, di quelle tipe un po’ new age ma che amano le belle macchine, una di quelle un po’ piccanti ma sempre discrete, di quelle che non disdegnano lo sport ma adorano mangiare, di quelle che adorano mangiare quello che cucini ma non vestire quello che regali loro, di quelle sempre un po’ indecise ma intraprendenti, di quelle un po’ donne e un po’ bambine, di quelle un po’ mamme e un po’ nonne, di quelle un po’ così e un po’ colà.
La Titti era una testa di cazzo.
Afono
Vorrei costruire una cornice.
Serve per sostenere i pezzi del mio cuore.
Ogni frammento è un ricordo. Ogni ricordo è un’immagine.
Ed in ogni immagine ci sei tu che sorridi. Che mi sorridi. O mi deridi?
Se ci fosse uno specchio riuscirei a vedere anche me in questi ricordi.
E mi vedrei mentre faccio lo scemo solo per te. Ma se tu ridi io sono felice.
Basta poco per farmi contento, vedi?
Invece sei tu che sei difficile.
Mi chiami se sei triste e capisco che vuoi solo che io per te faccia il clown.
E per te lo faccio volentieri, lo sai.
Ma al telefono non è facile, non so se mi comprendi. A me non bastano mai le parole.
Così gesticolo e faccio le facce buffe anche se tu non mi vedi.
Ma tu non mi vedi. E la magia non funziona.
Sui condizionali
Ho sempre pensato di non essere un grande lettore o un grande scrittore. Mi sbagliavo, sono un grande scrittore. O quantomeno potrei esserlo.
Questo mi fa venire in mente quando mia moglie mi ha lasciato.
Le dissi: «Sarei potuto essere qualcuno!»
Lei: «Chiunque POTREBBE essere qualcuno…» e se ne andò.
Almeno, PENSAVO che se ne fosse andata, da fuori della porta non riuscivo a capire se era tornata in salotto o mi stava controllando dallo spioncino.
Quello l’aveva preso da sua madre, la signora Grazia: un giorno la signora Grazia andò alla porta e vi scoprì un piccolo foro: sua figlia le aveva rubato lo spioncino.
I figli di Stavros
Stavros stava per morire. Magari non in giornata, forse addirittura fra qualche mese, ma ormai ne era certo, dato che non aveva più voglia di vivere. Il suo fisico era vecchio, vecchio e sano, anche se pieno di crepe, e sarebbe resistito ancora per un po’, finchè il cuore non si fosse deciso a capire che ormai batteva a vuoto. Quella notte Stavros non aveva dormito, perchè l’idea di aver deciso di morire lo aveva impegnato ad una pungente preoccupazione. Era rimasto sveglio a riflettere sulla necessità di avvisare i suoi figli e di dire loro le ultime verità. La stanza era fresca, e la finestra un buco nella calce bianca senza tenda nè imposte, perchè a Maria era sempre piaciuto lasciar entrare l’aria delle stelle notturne quando dormiva. Ora era morta da tanto tempo e lui trascorreva gran parte delle sue notti lasciandosi attraversare da quello stesso alito di cielo buio mentre aspettava inerme la tregua di un sonno.
Continua a leggereOuzo
Fra le palme le luci, e dietro ancora la musica. Sirtaki.
Abbiamo affittato questa casa bianca per scrivere. Non è stato difficile trovarla, tutti quelli che hanno bisogno di scrivere prima o poi vengono qui, e ne trovano una.
Servono poche cose: soprattutto il bianco, appunto, con macchie celesti di persiane, e aria che passi le finestre dal mare verde ai valloni delle capre.
Le capre ci danno il formaggio, gli olivi altro cibo. Per il pane c’è un cesto dal fornaio in paese. Per star su di notte, candele dappertutto.
Insalata di pomodori, rucola e barbabietole rosse
Ci sono diversi modi d’amare, carissima Lasher.
Noi non lo abbiamo incontrato al supermercato. Non è il nostro collega di lavoro. Non è il vicino di sopra che porta a spasso il cane la domenica mattina.
apro il barattolo e il liquido agrodolce delle barbabietole rosse scivola giù nel lavandino
Noi ce lo siamo cercato, lo abbiamo voluto proprio così com’è.
Non è stato un caso: niente destino. Niente incontro fortuito dal fotografo, niente drink offerto per noia al disco pub venerdì sera, niente scambi di battute per riempire il silenzio nella sala d’aspetto del dentista. È diverso.
Solo un sogno
Ci sono giorni, come questo, che fuori piove e piove da tre giorni ininterrottamente, e tutto quello che vorresti è stare sotto un piumone ad ascoltare la pioggia che accarezza i vetri, mentre di sottofondo c’è una canzone dolcemente malinconica.
Magari facciamo anche che sotto quel piumone ci sei già stata e che ad un certo punto, invece che la pioggia ti ha svegliato il sole che filtra tra le persiane e ti scalda una guancia.
Poi, siccome sognare non costa nulla, facciamo le cose in grande e immaginiamo che fuori da quel piumone, se ti immergi nel sole che invade la stanza, scopri che ti aspetta una colazione di quelle da film: spremuta, latte, caffè, brioche, marmellata, pane tostato.
Funamboli
Gli annunci li hanno scritti coi gessetti colorati sui pali della luce. La gente del paese li va a leggere incuriosita.
«Cerchiamo funamboli»
I ragazzini pensano subito al circo, corrono in piazza, ma non c’è. Chiedono al prete che passa svolazzando, e non ne sa niente.
«Qui in paese non c’è posto, sarà fuori.» e corre via a benedire le case, ché è primavera.
Prendono le biciclette fuori di scuola e si sparpagliano per i campi, ma si fermano a far merenda con pane e zucchero, e tra le gambe aperte si scambiano figurine sull’erba.
Io e la Russia
Della Russia non puoi parlarne tutta assieme perché è troppo grande e troppo varia. Quando parli della Russia tutta assieme rimani con un pugno di mosche.
La Russia tutta assieme è fatta solo dei discorsi che arrivano qui da noi. Pensi di parlare della Russia e invece parli di ignobili cazzate prodotte su licenza americana e non. Parli di prostitute che operano nel triveneto. Parli di politici sciapidi di gommapiuma prodotti dal vetusto KGB e più venduti dei jeans in America. Parli di attori forzuti che dicono «io ti spiezzo in due». Ma questa non è la Russia, perché la Russia sono tanti popoli tutti diversi uno dall’altro.
Continua a leggereTarli 2
Non so, adesso mi sembra che stiano esagerando.
Devono essere stati dappertutto, dalla soffitta alla cantina, forse anche in quel soppalco col tetto spiovente dove non guardo mai perché ci vuole una scaletta – e lo stesso non ci arrivo -, e dentro è buio.
Avranno aperto bauli di cui avevo buttato la chiave, o forse persa in qualche trasloco, e scardinato, ma con le loro zampette abili e gentili, cassetti incastrati da grumi di polvere e scaglie di sapone.
Hanno esplorato la metà nascosta della mia casa, quella dove non vivo più. E non so proprio dove possano averla ritrovata, dato che sono sicura di averla buttata via tanti anni fa; era deformata, schiacciata, e perdeva i pezzi.
Tango
Incipit che sto leggendo ‘mazurca para dos muertos‘ sdraiato sul divano e suona il campanello. Penso a un idiota in vena di scherzi o a Ictus, l’alcolizzato del terzo piano, che non trova le chiavi e schiaccia i pulsanti a caso; chi altro può essere a quest’ora di notte?
Riprendo a leggere, risuona il campanello. Prima non ci avevo fatto caso: è il trillo del pianerottolo, non quello dabbasso. Ora sono sicuro; è Ictus che non riesce a infilare la chiave nella toppa di casa sua e ha bisogno di qualcuno con una mira migliore. Mi dirigo senza fretta verso l’ingresso e intanto studio una battuta di circostanza, mi accorgo di avere un gran sonno.
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