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Ah, Montale…

Atto primo

È la sera del mio compleanno, quando Susy mi telefona.

«Sono per strada, sto per arrivare da te con un regalo.»

Cazzo non ho voglia di regali, i regali sono dei debiti, spesso inestinguibili; ed io non voglio dei debiti, non voglio pendenze col prossimo. Ma sono un tipo curioso e chiedo:

«Che regalo sarebbe?»

«E’ una sorpresa.»

Non mi piacciono nemmeno le sorprese; perché mi costringono a recitare con gli occhi, col naso e a volte anche con le orecchie se arrossisco per la timidezza. Ci sono sorprese che ti spiazzano.

«O mi dici che regalo è o metto giù.»

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Un verme in un orecchio

Sono una donna malata. Ho un millepiedi che attraversa il mio corpo, entra da un orecchio traforandomi il timpano (quello sinistro, dalla parte del cuore) poi s’infila nella trachea procurandomi una nausea indescrivibile con i suoi vischiosi movimenti di lombrico, e scende giù giù giù, spezzandomi la pancia in due sezioni simmetriche, intubandosi nell’arteria femorale e sbucando poi dal dito di un piede. E non è che sta ferma ‘sta odiosa creatura: si agita e sceglie ogni giorno un delta differente per le sue puntatine all’esterno.

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Io, Ce e il Natale

Il papa alla televisione dice delle cose biascicate e incomprensibili che vogliono dire che il Natale è una festa consumistica e io penso è vero ho bisogno di soldi.
Telefono a Marco per chiedergli come sta e per tentare di scucire degli euri e ciao mi dice e sento dietro un rumore come di qualcosa che si arrota.

«Uh – chiedo io – fanno dei lavori in casa tua?»

«No – risponde lui – sto digrignando i denti» e mi spiega che c’è una nuova uscita discografica di Wim Mertens, il suo musicista preferito.

«Un singolo?» chiedo io ingenuamente.

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La spesa

Il primo aveva comprato l’arroganza. Ne aveva da vendere, uh, quanta! era fiero del suo nuovo acquisto e non perdeva occasione per mostrarlo a tutti. «Sono un uomo di successo» pensava, «non ho bisogno di nessuno».

Il secondo si abbottonava la giacca, lentamente. Nel cestellino di plastica rossa aveva bellezza – a chili- e qualche etto di convinzione. Irresistibile, si trovava irresistibile. «Son talmente sexy che guardandomi allo specchio mi eccito da solo» pensava, soddisfatto del riflesso che gli rimandava la vetrina. Scodinzolava per il capannone senza neppure lumare intorno – come faceva di solito – alla ricerca di uno sguardo complice femminile: non gl’importava più, non gli servivano conferme.

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Quando sono sola

Quando sono sola, amo dormire con un mucchio di roba sul letto, nella parte libera, dico. I vestiti che mi tolgo di dosso sono d’obbligo, poi di tutto: cd, giornali, videocassette, la mia agenda, un paio di pelouches, le briciole del mio panino e – quando ho finito di usarlo – ci piazzo pure il portatile. Sarà che è meno triste, sarà un modo per riempire gli spazi vuoti. E devo stare attenta a non muovermi troppo, la notte, in modo da non buttar giù nulla sul pavimento.

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Anniversario

Oggi sono uscita di nuovo. Come mi aveva suggerito quello che mi conosceva tanto bene, mi sono fatta bella: leggero chiaroscuro per i miei occhi che hanno quel colore cangiante delle foglie tra il giallo, il verde e il nocciola, caldo e morbido color mattone sulle labbra, ma solo una carezza, perché è bella ancora, la mia bocca, del bianco vivo vicino al viso che me lo illumini insieme all’aria fredda, il cappotto blu che mi si stringe ancora addosso sottile e veloce come a una ragazza che va all’università, le scarpe basse per lasciare sempre libere le caviglie che ho ancora nervose, la Louis Vuitton falsa che dentro ci sta tutto il mio, e via in centro dove c’è gente, gli altri da cui sono stata lontana, quella gente normale e impazzita per i regali di natale, tutte le signore con le pellicce e gli scialli da zingara di lusso, i colbacchi di pelo, le Louis Vuitton quelle vere, i profumi ingombranti per marcare un territorio di alterigia, le rughe sotto il cerone, l’età pietosamente scritta in viso.

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La telefonata

E’ mercoledì e tengo un dito nel naso.
Mi chiedo se sia più il caso essere malinconico o contento, e scelgo contento. Non tanto perché siamo vicini a Natale e questo non fa testo, visto che Natale incombe all’incirca da gennaio; sono contento perché ha piovuto tutta la settimana e stanotte ha smesso e fuori c’è un sole surgelato ma non gocciola e stasera posso mettere il costume da Babbo Natale per andare al lavoro.

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Galateo di roleplaying per signorine

Questo breve manuale è indirizzato alle fanciulle desiderose di giocare a Twilight 2000, Danger International, Delta Force e affini, senza sapere nulla di armi (e senza alcun desiderio di impararlo).

Sei seduta al tavolo di gioco, con persone apparentemente normali. Non farti ingannare dalla prima impressione: i modi urbani e l’aspetto rassicurante nascondono dei folli invasati, come avrai modo di scoprire.

Prendiamo una situazione tipica. Siete dei prodi mercenari trincerati in una foresta mentre attorno a voi piove il prodotto nazionale annuo di munizioni del regno di Ruritania. Il Master si rivolge all’individuo seduto accanto a te e gli chiede quali siano le sue intenzioni. «Suicidarsi? Arrendersi? Farsi prendere dal panico?» pensi tu. Niente di tutto questo. L’individuo consulta la propria scheda con espressione di tranquilla competenza e annuncia: «Prendo il ci-nove-barra-tre e lo carico con sei braz, sgnaccolo la fivola, arroccio il barigonzolo, faccio tre whops con scappellamento a destra in due fasi punto sette che diventano zero punto uno perché sono in copertura zigrinata alare, quindi ho più centosettanta a cui sommo ottanta grazie al waka barra cinque dal momento che è notte».

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Vladimiro e i suoi colori

vladimiro

Vladimiro è un ragazzo di circa quarant’anni. Alto, magro, con una folta barba nera ben curata. Veste casual, maglioncino blu sopra una camicia a righe bianche e rosse e un paio di jeans. Ha i capelli spettinati, tutti orientati sulla destra, come se un vento dispettoso seguisse i movimenti della sua testa. Sorride sempre, ama la vita e non lo nasconde.

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